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Il tè verde, assieme ai tè bianchi, è la categoria di tè più pura e meno processata. Il principio che regge la lavorazione delle sue foglie è quello di preservarne la freschezza, per riportarci nella tazza la stagione che il tè verde rappresenta: la primavera, con la sua energia nuova e delicata.
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Abbiamo già parlato all’interno el nostro blog della storia del tè e delle diverse grafie della parola tè, faremo quindi un focus sulla storia del tè verde e come si sia passati dal tè in polvere a quello in foglie. I tè neri e i tè oolong anticamente non esistevano: il tè verde era il più consumato già a partire dalla dinastia Song (960-1279) ma in quell’epoca non veniva bevuto come facciamo adesso. Le sue foglie venivano prima polverizzate e poi pressate in forma di torte. Per essere bevute i cinesi staccavano un pezzo di torta, lo frantumavano fino a farlo diventare polvere e poi lo frullavano come si fa oggi con il tè matcha. Questa abitudine cambiò a partire dalla dinastia Ming (1368-1644) che con l’imperatore Taizu proibì l’utilizzo e la vendita di queste torte introducendo al suo posto il tè in foglia, come lo conosciamo oggi. Ai giapponesi non piacque questa innovazione e per lungo tempo preferirono continuare a consumare il tè in polvere, ecco perché nella loro tradizionale cerimonia del tè si consuma il Matcha.
Ma torniamo ai processi di lavorazione del tè verde. Abbiamo detto che il tè verde è il più leggero di tutti perché l’impatto che l’uomo fa sulla pianta è minimo. Ciononostante dobbiamo estrarre e sentire il gusto. Per farlo bisogna rompere leggermente i muri spessi che le cellule delle foglie hanno, altrimenti l’essenza del tè rimarrà chiusa nelle cellule. La rullatura delle foglie (rolling) serve proprio a questo, si schiacciano le foglie, gli oli essenziali vanno in superficie e si favorisce l’ingresso dell’ossigeno.
Fase succesiva a quella della rollatura del tè verde e quella di ossidazione. L’ossidazione, anche minima, è inevitabile, se non altro perché inizia già quando le foglie vengono staccate dalla pianta madre. In questo momento il contenuto di acqua è troppo alto e impedisce che le foglie vengano lavorate. Non c’è tè che non sia, anche solo poco, ossidato. Perfino il tè bianco lo è. Quello che varia fra i vari tipi è la percentuale di ossidazione. I tè verdi lo sono poco, assieme ai bianchi.
Un altro processo molto importante è quello del withering che possiamo tradurre in italiano con appassimento. È importante che la perdita di acqua dalle foglie avvenga lentamente, ma solo il tea master può sapere come portarla avanti, molto dipende dal tempo. Non è lo stesso farle appassire in un giorno di pieno sole, o in un giorno umido e nuvoloso. Nella maggior parte dei casi il tè viene raccolto e lavorato subito, nello stesso giorno, il che ci da bene l’idea di una freschezza congelata nelle foglie, ricca di energia Yang, pronta ad essere sprigionata in tazza.
Non entreremo più nello specifico delle lavorazioni del tè verde perché generalizzare risulta abbastanza inutile.
Ogni tè verde, ogni tea master, ogni terroir richiede delle tecniche e sfumature diverse. Con terroir, parola francese presa in prestito dal mondo del vino, si intende l’unicità di un luogo che è composta dalla sua geologia, geografia, clima e anche retaggio culturale. Terroir è la composizione del suolo e il clima di una particolare regione, ma anche le relazioni che le persone del luogo hanno con le piante, come le intendono e le trattano.
La nostra passione per i tè, in particolar modo per i tè verdi, i tanti viaggi in quelle che sono le terre del tè e l’esperienza maturata in anni di appassionato lavoro ci hanno permesso di selezionare tra le centinaia di varietà presenti nel nostro negozio di tè on line, quattro nuovi arrivi di grandissimo pregio e che ti invitiamo a provare.
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